“Il matrimonio segreto” si svela

Debutta a Lucca la nuova produzione lirica del Teatro del Giglio: Il matrimonio segreto. Fresco e vivace, il dramma giocoso in due atti di Domenico Cimarosa è portato in scena da una formazione di tutto rispetto, nata dalla collaborazione tra il teatro lucchese e la Fondazione Ravenna Manifestazioni, lo stesso sodalizio che ha permesso la produzione del Falstaff verdiano che ha calcato il palco lucchese due mesi or sono.

L’equivoco alla base dell’opera è presto detto: il Conte Robinson, giunto a casa del Signor Geronimo per sposare la figlia maggiore, Elisetta, si invaghisce della più piccola, Carolina. La cadetta sì è però già sposata  -in segreto, appunto- con Paolino, promotore dell’accordo e vittima delle attenzioni amorose di Fidalma, la zia delle ragazze. Con questo materiale il libretto di Giovanni Bertati ha buon gioco per divertire il pubblico nelle tre piacevolissime ore di spettacolo.

La vicenda si svolge in un unico ambiente mutevole: non solo per i quattro grandi armadi che si spostano sulla scena (mossi in segreto dai ragazzi di GiglioLab), ma, specialmente, per gli oggetti di scena, tutti presenti, benché ricoperti da pesanti tendaggi. Quello che si presenta agli occhi dello spettatore è una via di mezzo tra la bottega di un rigattiere –gabbie, cornici, libri sono ammassati sugli armadi- e la stanza delle necessità di potteriana memoria: la scenografia si scopre e si copre a seconda del bisogno, senza mai essere svelata per intero. I colori pastello sono spesso confusi dalle luci, magistralmente dosate per vivacizzare l’ambientazione unica. I personaggi sembrano essere un’appendice della scena: inizialmente indossano grembiuli e vestaglie dello stesso tessuto che nasconde gli arredamenti, di cui poi si spoglieranno per mostrare i costumi, particolarmente elaborati, ma mai pesanti.

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Il cast è eccezionale: sei cantanti su cui difficilmente si possano avanzare critiche di sorta. Lavinia Bini è una Carolina brillante e dalla voce limpida, con un sorriso e un’espressività che ci ricorda, con piacere, Diane Keaton. Il suo innamorato, Paolino, è il tenore Matteo Falcier, egregio nel ruolo di deus ex machina. Divertente e mai banale l’interpretazione che ci offre Omar Montanari, nel suo ruolo del Conte borioso e caricaturale, come anche è azzeccato nel ruolo di Geronimo il basso Salvatore Salvaggio. La sorella maggiore e la zia sono rispettivamente Giulia Semenzato e Loriana Castellano: bruttina e antipatica la prima, comica l’altra nel suo alternare momenti di ferrea disciplina e di languida tentazione nei confronti di Paolino, hanno entrambe i loro momenti memorabili. Già bravi da soli, si apprezzano particolarmente nelle scene d’insieme grazie a delle semplici, ma efficaci coreografie volute dal regista Italo Nunziata.

La musica di Cimarosa è briosa, incalzante, a tratti quasi rossiniana per concitazione e freschezza. Il tutto è reso alla perfezione dalla mano sicura di Julian Kovatchev, a capo di un organico orchestrale relativamente ridotto –si contano una trentina di musicisti. Nella buca ci sono i ragazzi dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini, una formazione interessante, non solo per la qualità dell’esecuzione: formata nel 2004 da Riccardo Muti, è composta da talentuosi musicisti under 30 (sembra si possano definire anche giovani, ma non vorremmo abusare dell’epiteto) provenienti da tutta Italia e che si esibiscono con successo in giro per l’Europa.

Si replica domenica 9 febbraio alle 16.00: a nostro parere si tratta di un’ottima occasione per vedere al Teatro del Giglio una produzione encomiabile e di una qualità degna del teatro di tradizione che si vanta di essere. Non capita spesso, purtroppo, ma questa volta sì.

 Andrea Balestri

Una tempesta di personaggi

Quella che inizialmente pare essere il nucleo della rappresentazione, la relazione tra un Prospero vecchio e stanco e una Miranda con difficoltà nei movimenti e nella formulazione delle parole, si rivela essere una sorta di cornice per il racconto dell’approdo dei due sull’isola deserta su cui si trovano, della situazione precedente e dell’arrivo degli altri personaggi.
La difficoltà principale che tuttavia ho riscontrato è stato il distinguere la cornice (sempre che lo sia veramente) dalla storia vera e propria, che si apre come un racconto di Prospero alla figlia e poi pare confondersi con la realtà presente (la loro situazione sull’isola).
Inoltre i sopratitoli non sono stati sempre corretti, o almeno così mi è parso, dal momento che talvolta durante le conversazioni dei personaggi non era presente alcuna traduzione, che viceversa appariva alla conclusione del discorso stesso, confondendo il pubblico.
Tuttavia ho trovato estremamente intrigante la capacità dei due unici attori, un uomo e una donna, di vestire i panni di più personaggi riuscendo a mantenere i tratti caratteristici di ognuno di essi.
Incredibile vedere un Prospero malato e debole trasformarsi in un Calibano estremamente grottesco e volgare, per poi entrare nei panni di un Ferdinando che con i propri modi esasperati (forse fin troppo parodistici) non può non suscitare il riso del pubblico.
Meno evidente la “trasformazione” della figura femminile, che non cambia sotto gli occhi dello spettatore. Infatti Airida Gintautaite impersonifica una Miranda che lentamente acquista l’uso della parola e la capacità di controllare i propri movimenti, e allo stesso tempo Ariel, lo spirito che appare a sorpresa durante la tempesta, e rappresenta a mio parere il personaggio più inquietante.
Come sottolineato dal regista Korsunovas lo spettacolo, rifancendosi all’interpretazione di Jan Kott, vuole rappresentare il dramma sociale della lotta per il potere.
Inoltre il regista giustifica la centralità di Miranda interpretandola come una sorta di “anima di Prospero”, che, ritrovatosi su un’isola deserta con la sola altra compagnia dei propri libri (se non consideriamo Calibano e Ariel), la eleva.
In effetti il progressivo aumentare delle capacità (in particolare fisiche) di Miranda sembra sottolinearne un percorso ascenzionale.
L’opera si conclude sembrando riportare Miranda all’ideale di “principessa” con cui, come afferma lo stesso regista, è il più delle volte vista.

Domenica 12 maggio 2013, ore 16.00
Teatro del Giglio, Lucca

Miranda
da “La tempesta” di William Shakespear

Regia: Oskaras Korsunovas
Scene: Dainius Liškevičius
Costumi: Aleksandras Pogrebnojus
Composizione musicale: Antanas Jasenka
Disegno luci: Eugenijus Sabaliauskas
Disegno suono: Ignas Meilūnas
Con Povilas Budrys e Airida Gintautaite

Sara Casini

Sovrana assoluta della sua solitudine

Attraverso un’intervista immaginaria che si fa monologo, e con l’ausilio di filmati e musica, viene raccontata la storia travagliata di una donna piena di passioni, di rabbia, di esaltazione.
Una storia come molte, si potrebbe dire.
Ma non è solo questo.
Non solo le guerre, la solitudine, gli amori perduti, la morte dei famigliari, eventi che nella loro straziante drammaticità risultano tristemente quotidiani.
Perché in quel turbinio di emozioni, di eventi, di rabbia disperata; il punto fisso, incapace di tradirla, rimane la macchina da scrivere.
Non è la storia di un individuo, ma la storia di due individui che coesistono nello stesso corpo, dei quali quello più forte, la Fallaci, la scrittrice e giornalista, finisce per divorare l’altro, debolmente umano, Oriana.
E si ritrova qualcosa di magico, in quel suo essere individuo attraverso le parole stampate, essere donna e non solo questo, scrittrice di una vita che si intreccia senza vincoli alla fantasia, senza paura, senza censure.
La voce fuori scena, che instancabile, sicura, decisa, pone le sue domande, è appunto fuori scena; non c’è, sul palco di una vita che si disfa sotto gli occhi dello spettatore, quella parvenza di razionalità che il falso interlocutore si ostina a mantenere.
Non c’è perché non esiste, nella vita di un individuo, tanto più in quella di una donna come Oriana Fallaci, un modo razionale e obiettivo di porsi di fronte a eventi sconvolgenti: l’amore, la guerra, la morte vissuta come costante, a cui suo malgrado Oriana si abitua, o forse è solo la Fallaci a farlo, mentre Oriana, che non può permettersi di essere debole, si nasconde nel suo “alter ego”.
Un esile filo di fumo e nuvolette opache che volteggiano nell’aria. Una sigaretta. Due. Tre. E per quanto paiano consumarle la vita vi è una sottile eleganza nel suo modo di stringerle tra dita via via più deboli.
La donna che apre l’intervista con una frase enigmatica e un’ostentata sicurezza di sé svanisce nel tempo che si consuma, per lasciare il posto ad una figura debole, affaticata, ma che in ogni modo, a dispetto di un corpo che cessa di risponderle, mantiene la propria lucidità, e si fa sempre più spontanea, piena di vergogna per un corpo malato che non sente appartenerle, e bisognosa di spirare le ultime parole, prima di scivolare nell’oblio della morte.
In solamente un’ora di spettacolo mi sono resa conto di cosa significhi recitare, di cosa significhi essere attore, ed essere solo su un palco che pare immenso e desolato; e riuscire, chissà come, a non farlo apparire vuoto. Addirittura nei silenzi più strazianti, non vi è alcun senso di vuoto. La forza di un’attrice magnifica la cui vita pare per un’ora confondersi con quella di un personaggio quanto mai affascinante riempie lo spazio, e le emozioni travolgono con violenza lo spettatore manifestandosi attraverso gesti talmente spontanei da non lasciarsi interpretare come recitazione.
Non saprei definire l’effetto delle luci.
Non saprei descrivere gli oggetti scenici.
Perché lei, per un’ora incredibilmente emozionante, ha riempito completamente il palco.
A questo punto penso sia chiaro quanto sono rimasta estasiata dal partecipare allo spettacolo che mi sento di poter definire il più travolgente e coinvolgente a cui abbia assistito.
Tuttavia le reazioni del pubblico non sono state unanimi e, data la mia impressione estremamente positiva, mi hanno sorpreso.
Ammetto di essermi immedesimata molto in questo spettacolo, e di essere perciò incapace di darne una descrizione oggettiva e critica. Ma d’altronde di fronte a uno spettacolo del genere, in cui la sensibilità del pubblico rappresenta l’elemento chiave per la comprensione, reputo poco realizzabile una visione oggettiva e critica. Di conseguenza, per quanto abbia tentato di riconoscere i lati non apprezzabili di tale spettacolo, e per quanto sia consapevole che certamente ve ne siano, non sono riuscita a trovarne.
Temo che i giudizi negativi, almeno questo mi è parso, non siano prettamente legati allo spettacolo, quanto più alla difficile comprensione di una figura come Oriana Fallaci, che può essere comprensibilmente non apprezzata per le proprie idee (principalmente per quelle legate alla sfera politica).
Vorrei quindi invitare chi si appresti ad assistere a questo spettacolo ad abbandonare ogni tipo di pregiudizio.

Domenica 24 marzo, ore 16.30
Teatro del Giglio, Lucca

Mi chiedete di parlare…
di Monica Guerritore

Progetto Luci: Pietro Sperduti
Responsabile audio: Paolo Astolfi
Capo-elettricista: Marco Marcucci
Direttore di scena: Andrea Duilio Sorbera
Scenografia: Monica Guerritore
Costumi: Graziella Pera
Con Monica Guerritore
E con Lucilla Minimmo
E con le voci di Rachid Benhadj e di Emilia Costantini

Sara Casini

Oriana Fallaci Parla di sé

 

                                                               

Un organico collage di interviste ,pensieri e scritti di Oriana Fallaci sono messi insieme da Monica Guerritore   che vestendo   i panni della scrittrice e giornalista del 900 recita un monologo di un ora ;un’ ora  un lampo in cui ripercorriamo tutta la vita dell’ autrice anche attraverso la proiezione di filmati e immagini che sottolineavano  alcuni momenti importanti della vita di Oriana Fallaci . L’ attrice che indossava vestiti riconducibile a Oriana date le foto degli ultimi anni della sua vita con un timbro basso  e voce rauca   dava una chiara immagine del personaggio rappresentato . Ogni frase  ci rimandava alla forza della donna Oriana Fallaci  che non ha esitato nel novecento ad  andare nei teatri di guerra sul campo di battaglia  e a rimanere ferita . Il racconto della sua vita è una pura e semplice biografia  che vuole solo far riscoprire  il personaggio storico su cui nel corso degli anni sono state scritte tante cose  influenzate dalla stima o dall’ odio v . Lo spettacolo è una vera e propria restituzione  dell’ opera della signora  Fallaci   tant’è che la scenografia  era costituita da   elementi come   pennelli , bidoni di vernici e teli trasparenti che dimostravano che la messa in scena era una vera e propria rimbiancata  un rinnovo  privo di pregiudizi  . Dallo spettacolo emergono principalmente due stati  contrastanti la vita e la morte . La morte elemento ogni presente nell’ esperienza della Fallaci vista più volte nei campi di battaglia nelle città distrutte dai bombardamenti; ogni esperienza è resa  molto vera del reale tramite  la stesura dei romanzi  : perché l’  esperienze si tingono delle sensazioni delle emozioni che la persona ha provato quindi  nell’ immaginazione usata  per scrivere il romanzo emergono tutti i pensieri della persona che ha scritto alla luce  dell’ evento vissuto .  Nonostante una generale sfiducia nei confronti dell’ uomo che causa il male   Oriana Fallaci riesce a far  sorgere e a rimane re sempre alto come il solo la voglia di vivere  e di essere  ,la vita è fatta di sofferenze ma ogni dolore vale la pena di essere vissuto perché la vita è un dono gratuito . Assistiamo in fine al degrado di O. Fallaci fino alla morte . Nella sua convalescenza  consumiamo il dramma del termine della  vita  con  chiusura del sipario di grande effetto con Monica Guerritore seduta su una sedia che da le spalle al pubblico .

Davide Barsotti

Teatro del giglio di Lucca venerdì 22 marzo ore 21

  Monica Guerritore  Oriana Fallaci

Con Lucilla Mininno

Scritto e diretto da Monica Guerritore

Vivan il teatro!

                                                               

Accolti da un sipario spalancato  si pone alla vista la suddivisione dello spazio scenico in 2 aree una alta e una bassa . L’ alto  è il teatro con il suo palcoscenico il basso i camerini . Lo spettacolo utilizzando questa travata scenografica   presenta  il mondo diviso in due: la realtà costituita dalla  vita e il mondo della finzione con  il teatro .  Vediamo  che i due mondi sono prossimi l’ uno all’ altro e il confine è così labile che spesso i due mondi si mischiano e più di una volta gli attori passano da un area all’ atra ascendo o discendendo . Nel corso dello spettacolo notiamo come l’ ascesa verso lo spazio teatrale abbia tutti  gli elementi di una vera e propria salita a uno stato di perfezione in quel’ area gli uomini si  realizzano e  una vera e propria liberazione dai problemi della vita avviene  , nel mondo della finzione  la collaborazione fra gli uomini aumenta  e tutti tendono alla perfezione della spettacolo . D’ altro canto il mondo del teatro non costituisce solo questo viaggio purificatore ma pone l’ uomo anche in diversi drammi come quello della moglie del Sir (Melania Giglio ) che svela il suo dispiacere nelle voce dei critici che disprezzano il suo duro lavoro , Norman (Tommaso Cardarelli ) che vero servo  della messa in scena  non trova mai riconoscenza per quel che fa e il povero Sir(Riccardo  Branciaroli)  che si trova a scontrasi con il tempo , per l’ attore principale  la sfida che gli propone il mondo della finzione è tremenda:  confrontarsi con i personaggi che non invecchiano mai e avere  un corpo che si corrompe giorno dopo giorno .  Il grande encomio che lo spettacolo fa al teatro parlando in tutti i modi del  teatro come  abbiamo visto dalle bellezze hai drammi  ci lascia un ultima  tragedia la morte del Sir , il corpo come  si è già detto si corrompe e la fine è inevitabile      l’ eterno scontro tra uomo e tempo si realizza e l’ uomo inevitabilmente perde ma l’ ultimo messaggio di speranza ce lo lascia il teatro  le rappresentazioni ,  la bellezza dei testi e  la bravura degli attori sono            l’ unica  entità a resistere al tempo  . Insomma il teatro è rappresentato  come un vero farmaco per la vita . Il servo di scena (Tommaso Cardarelli) recitava con un tono di voce adatto al ruolo facendo trasparire l’ adulazione  , Sir (Franco Branciaroli )  mischiava toni bassi e profondi con voce declamante nel momento della  spettacolo nello spettacolo .  

Davide Barsotti

Teatro del Giglio Lucca venerdì  8 marzo 2013 ore 21

Di Ronald Harwood

Regia Franco Branciaroli

Traduzione Masolino D’Amico

Franco Branciaroli (Sir )

 Tommaso Cardarelli(Norman il servo di scena )

 Melania Giglio(La moglie di Sir Roland )

E con

Daniele Griggio

Lisa Galantini

 

 

 

Cosa muove l’ uomo se non un berretto a sonagli .

                                 

In una pacifica cittadina Siciliana  tra Palermo e Catanzaro nel giardino di una villa di un notissimo cavaliere la moglie del suddetto  gentiluomo la signora Beatrice Fiorica(Marina Biondi )  diventa il personaggio utilizzato come strumento da Pirandello per  rappresentare i meccanismo che muovo l’ uomo nella società e cosa sia effettivamente  l’ uomo . Le battute del signor Ciampa(Sebastiano Lo Monaco )scrivano del cavaliere contengono materialmente i messaggi dello scrittore , tra una battuta comica e l’ altra che girano soprattutto intorno alla stupidità del fratello di Beatrice  (Claudio Mazzenga ) Ciampa rende gli altri personaggi partecipi dei suoi ragionamenti . La  vicenda si muove attorno alla gelosia della moglie che sospetta il marito di tradimento pensando che lo scrivano  sia complice dell’ amore clandestino , ormai convinta e   sempre  più isterica Beatrice sottoscrive la denuncia al pubblico ufficiale Spanò(Rosario Petix) . Nel  secondo atto assistiamo alla comparsa di Ciampa che rende pubbliche le sue idee che erano tenute nascoste nel primo atto per quanto riguarda il comportamento umano nella fattispecie tra la moglie del cavaliere , la moglie di Ciampa ,  Ciampa  e il cavaliere , lo scrivano  è un  personaggio perde la vena comica del primo atto e è  perciò caratterizzato da un’ espressione e un tono di voce tragico perché nello scandalo è in gioco l’ onore e la rispettabilità (il punto di vista è posto su di lui    e non sui   diretti interessati dallo scandalo per marcare come i meccanismi mentali siano  comuni a tutti gli uomo ) . L’ uomo è animato da tre stati :lo stato civile( che riguarda il comportamento con gli altri ), lo stato  pazzo (che risponde alla parte irrazionale )e lo stato razionale ; il risultato dei tre stati determina la sostanza dell’ uomo e l’ agire umano  : la sostanza dell’ uomo è ciò che viene percepito del singolo individuo   dagli altri esseri umani , l’ uomo agisce in funzione dei giudizi che gli vengono attributi portando avanti un forte senso  della reputazione .        L’ espressività comica dell’ attore (Sebastiano Lo Monaco ) era ottimale , lodevole  la sua capacità di passare dal  tono allegro al tragico,Marina Biondi   interpretava  l’ isteria e il  nervosismo della moglie del cavaliere in modo davvero realistico   , l’ ufficiale pubblico  Spanò(Rosario Petix) aveva il giusto tono comico che accompagnava il suo personaggi insieme all’ accento siciliano , le parti minori  erano interpretate con una certa naturalezza . La scenografia e i costumi erano tradizionali senza elementi degni di nota . Interessante il fatto che dopo lo spettacolo e la  riscossione degli applausi la compagnia e soprattutto  l’ attore(Sebastiano Lo Monaco)si siano intrattenuti con il pubblico per 30 minuti scherzando e parlando liberamente.

Davide Barsotti

 

Autore Luigi Pirandello

Regia Mauro Bolognini  ripresa da Sebastiano Lo Monaco

Ciampa   Sebastiano lo monaco

Beatrice Fiorica  Marina Biondi

Fifi La Bella  Claudio Mazzenga

 Delegato Spanò Rosario Petix

 

 

 

Un insolito western con Paolo Rossi

                                                    

Che l’ amore sia un cane blu non è che ci crediamo poi così tanto … ma confidiamo in Paolo Rossi per cambiare idea  ,  su un palco ingombro di oggetti dei più disparati  che andavano dai pupazzi ai bauli da teatro veniamo calorosamente accolti dal comico e dai suoi accompagnatori musicali “I virtuosi del carso “ . Banda composto da un tastierista – tubista , un fisarmonicista , una cantane violoncellista ,  un chitarrista e  un batterista . La sua piece teatrale  ci viene svelata essere un insolito genere  un “ Western Carsico “ dopo la rivelazione la distanza tra il palco e la platea è sottilissima e iniziano le divertenti battute e aneddoti che come  mare in tempesta investano tutta l’ Italia e l’  attuale situazione culturale e  sociale ; la narrazione  era  sottolineato da una musica allegra  ma in specifici momenti malinconica accentuata  dalla voce femminile; come avremo modo di dire il finale contiene un messaggio importante che deve essere contrapposto   alla commedia con  musiche serie rispetto. La corta distanza tra attori e spettatori è tale che          l’ interazione è facilitata , e nascono i bei momenti degli spettacoli dal vivo ovvero   gli  imprevisti l’incalcolabile che dà sempre modo l Paolo Rossi di cavare divertenti  situazioni dal comportamento del pubblico . Lo spettacolo è costituito dall’ attore che racconta , è l’ attore  l’ intero  spettacolo   anche se è  aiutato dalla sua banda (il chitarrista  aiuta il comico  nella narrazione ). La storia presentata è strampalata e  piena di  colpi di scena da far rimanere meravigliati dalla fantasia usate per elaborarli . Tutto il filo narrativo  ha continui spazi dove Paolo Rossi ragiona e ci porta con le sue conclusioni a divertenti aneddoti .L’ intero spettacolo vuole essere un vero appello all’ Italiani che vengono messi di fronte alla loro odierna condizione di mancare di passioni  quindi di vera vitalità e ciò fa scaturire le ultime crisi perché solo  l’ uomo appassionato  è  veramente consapevole  di ciò che deve fare  . Il finale appello di Paolo Rossi e la storia delle rivoluzione danno il chiaro messaggio -“ proclama” :un incitamento a una vera è propria rivoluzione culturale un forte cambiamento per rendere le cose migliori  . Per ricostituire i toni della  commedia la banda  e Paoli Rossi si congedano strimpellando musiche a elevato ritmo con un vero e proprio  “duello”  a colpi di note tra fisarmonicista e chitarrista .

Davide Barsotti

Auditorium Enrico Caruso  nel teatro di torre del lago Puccini  ore 21 mercoledi 27 febbraio ore 21

 

Scritto da Paolo Rossi  Stefano Dongetti Alessandro Mizzi

Con Paolo Rossi

“ I virtuosi del Carso”

Emanuele dell’ Aquila

Alex  Orciari

Stefan  Bembi

Denis  Beganovic

Mariaberta  Blaskovic

David Morgan

 

Non più Adda passa’ ‘a nuttata

                                          

Una Stanza con pareti sbiadite e pavimento sporco ci viene presentata , sul fondo una porta a vetri  comunicante con una via di quartiere  al centro un tavolo e delle sedie gli elementi sono tutti presenti per  dare inizio all’ opera alla musica e soprattutto al  canto . I cantanti ci accolgono con le loro voci un accoglienza non molto buona le voci male proiettate non arrivano l’ orchestra un po’ coprente fa il resto ma per fortuna tutto dura  pochi minuti  le voci si armonizzano con la musica . La contrapposizione tra i soprani e i numerosi  bassi – baritoni del primo atto ci rende la dimensione della guerra  (del conflitto)  a Napoli alla fine del 1942 .In casa di Donna Amalia(Valeria Sepe) compaiono sempre più personaggi per prendere il caffè di contrabbando (perché era merce proibita durante la guerra e il mercato nero era l’ unica via per procurarselo  ); sono definitivamente presenti gli elementi che costituiranno la tragedia: il mercato nero  , la guerra e la misera stanza  . Assistiamo nel corso dell’ opera alla scomparsa a causa della guerra di Don Gennaro (Giampiero Cicino)e la sua straordinaria ricomparsa nel terzo atto per regalarci la vera dimensione tragica dell’ opera  . Ritornato a casa e rimasto sorpreso dal lusso abbondante in cui verte la sua vecchia casa rimane sempre più estraneo alle azione dei personaggi ricordando sempre  più la guerra , ma a ogni tentativo di ricordo è troncato dalle risate degli altri personaggi che nella Napoli del 1944 sono diventai  chi più chi meno milionari grazi al mercato nero , nella loro nuova vita agiata  ERRICO (Dario Di Vietri) Amà (Valeria Sepe)Maria Rosaria (Francesca Paola Geretto) Amedeo (Saverio Pugliese) vogliono dimenticare la guerra ovvero ciò che gli ha resi ricchi ma con colpo di scena finale,  dove nelle più diffusa felicità irrompe il commissario Cippa   per arrestare i contrabbandieri e criminali  che con un colpo di mano riescono a fuggire  tranne  Amedeo(figlio di Amalia) che  nella sparatoria rimane ferito mortalmente . E nello stesso momento la casa  si ritrova devastata  e povera come all’ inizio Il grido di Genna “la guerra non è finita affatto” lancia  il chiaro messaggi di De Filippo : L’ uomo che anche inconsapevolmente  ha a che fare con la seconda guerra mondiale  ne  è influenzato  influenza che colpisce  anche chi  non l’ ha combattuta in prima persona , la guerra ha portato  con se una serie di conseguenze che portano gli uomini a rompere i più elementari vincoli sociali (matrimonio)  solidarietà ( arricchirsi alle spalle  degli altri con il mercato nero che affama i bisognosi di quelle poche merci) .  I momenti tragici e riguardanti la guerra  erano accompagnati da musiche cupe e a volte incalzanti con ritmi travolgenti per rappresentare i bombardamenti  ,  il picco delle emozioni dei  personaggi era sempre sottolineato da un crescendo dell’ orchestra  che a volte  prepotente  strappava la scena ai cantati nascondendo le loro voci  , Assunta(Alessandra Masini) ha mostrata bravura nella risate ma poca efficienza nel comunicare le altre parti , I baritoni per il loro scambio di battute nel mercanteggiare  hanno reso troppo il clima dell’ accordo sottobanco e infatti  non si capiva niente e dispiace quando i cantati cantano per se  piuttosto che per gli ascoltatori . Donna Amalia (Valeria Sepe)è stata ben interpretata gli acuti ben piazzati lo stesso anche il tenore Enrico (Dario Di Vietri)anche se a volte male proiettavano la voce . Il coro nella propria  scena principale interpretava  soldati americani e  ragazze Napoletane con tanto di danze che  rendeva bene  l’ effetto  vocale e il movimento  trasmettendo un clima di festosità richiesto dalla scena .  Particolarmente suggestivo e un po’ malinconico era l’accompagnamento con il mandolino suonato con maestria , le percussione svolgevano perfettamente sempre puntali  il loro ruolo , il direttore metteva molto impegno e energia che  è stato ben ripagato con il risultato finale  .I  costumi erano  storicamente accurati    tutti compatibili con la  moda dell’ epoca anche se il passaggio tra la  povertà  e la ricchezza , non è stato reso al meglio ,si poteva inventare qualcos’ altro a parte l’abito grigio di Enrico  milionario . La scenografia ricostruiva l’ ambiente a pennello ,la stanza e l’ arredamento  facevano rivivere il clima che si doveva respirare . Tutti i cantati sono stati scelti con estrema precisione in ognuno di loro rivediamo i personaggi del testo di Eduardo . Nel complesso un buon lavoro anche se sono doverosi  miglioramenti . Un ottima idea l’ opera “Napoli milionaria”perché si offriva qualcosa di nuovo al pubblico e meritevole di essere visto . E in ultimo complimenti peri sopratitoli erano sempre puntuali e precisi  brava davvero !

Davide Barsotti

Teatro del Giglio di Lucca ore 20 e 30 sabato 23 febbraio 2013

 

Librettista Eduardo De Filippo

Musiche di Nino Rota

Direzione d’orchestra Matteo Beltrami

Regia Fabio Sparvoli

 

Gennaro Iovine Giampiero Cicino,

Amalia, sua moglie Valeria Sepe ,

Maria Rosaria, figlia Francesca Paola Geretto,

Amedeo, figlio Saverio Pugliese

Errico “Settebellizze” Dario Di Vietri

Peppe o’ cricco Veio Torcigliani

Riccardo Spasiano, ragioniere Juan José Navarro

Federico  Antonio Sapio

O’ miezzo Prevete  Gianluca Tumino

Pascalino “o pittore” Andre Antonia Schifadù ,

Il Brigadiere Ciappa  Giuseppe Pellegrina ,

Peter, sergente americano stefano trizzino ,

Adelaide  Schiano  Marta Lotti  

Assunta, sua nipote Alessandra Masini

Donna Peppenella  Raluca Pescaru

Donna Vincenza (opp. Vinzenza) Teresa Gargano

Rituccia, l’ultima figlia di Gennaro  Eleonora Mascia

 

Orchestra della Toscana

Ensemble vocale del Progetto LTL OperaStudio 2012 diretto da Mauro Fabbri

Scene e costumi Alessandra Torella

Nuovo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca

Sopratitoli Martha Katharina Anna Ebert

 

 

Rabbia che si fa follia

Beatrice Fiorica (Marina Biondi) è una donna molto gelosa e, scoperto il tradimento del marito con la moglie di un certo Ciampa (Sebastiano Lo Monaco), diviene preda di una furia cieca e incontrollabile.
Rabbiosa, sporge denuncia (sotto consiglio della “Saracena”) senza curarsi dei tentativi che la famiglia sua e di Ciampa compiono per dissuaderla, così da far chiudere in prigione i due amanti.
A questo punto è messo in dubbio l’onore di entrambe le famiglie.
Non importa cosa sia realmente accaduto, ciò che conta è riparare il danno, tentare di ricucire la credibilità perduta delle due famiglie.
E’ adesso che Ciampa ha un’intuizione geniale: far credere al paese che la Fiorica aveva denunciato il marito in un momento di follia, e spostarla per un po’ di tempo in un manicomio.
Il piano funziona fin troppo bene, infatti la donna, dando sfogo alla propria rabbia, finisce per divenire realmente pazza.
Pirandello infatti attraverso Ciampa definisce tre “corde”, quella seria, quella civile e quella pazza.
Affascinante l’interpretazione di Marina Biondi che, anche grazie alla voce rauca, riesce a “sprizzare da tutti i pori” disprezzo e rabbia.
I due atti in cui lo spettacolo è diviso compiono una distinzione radicale tra i due diversi aspetti del personaggio più interessante, Ciampa.
Infatti nel primo atto pare esuberante, ironico (forse troppo) in maniera talvolta sottile e talvolta più grossolana, nel secondo atto, al contrario, è distrutto dal dolore, e incarna in maniera emozionante il doppio dramma vissuto: il tradimento della moglie e il bisogno ossessivo (dato da una società fondata su un perbenismo estremamente ipocrita) di far tornare tutto alla normalità, di trovare una soluzione.
Durante tutto lo spettacolo, per quanto riguarda Lo Monaco (Ciampa), sembra di essere in bilico tra recitazione, e quindi finzione, e realtà.
Questo equilibrio precario si rompe una prima volta, in modo ironico e poco affascinante, in una battuta “di troppo”, in cui l’attore smette di recitare e, facendo leva su una delle battute appartenenti al copione, fa un riferimento ai “grilli” che da “grilli per la testa” divengono “grilli e grillini fin troppo numerosi nelle teste degli italiani”, di semplice comprensione il riferimento politico, che suscita una risata generale nella platea.
Più sottile e senza dubbio interessante quella che sembrerebbe una seconda “rottura dell’illusione scenica”, durante il secondo atto. Infatti, dopo la follia di Beatrice Fiorica, Ciampa rimane solo sulla scena e, falsamente sorpreso, domanda «Ma voi eravate qua?» Improvvisamente lo spettatore si sente chiamato in causa, la quarta parete sta crollando, quasi si può sentire il suono del suo sfracellarsi a terra, quando invece… «No, dico, tutto il paese ha visto?» Il paese, non il pubblico. Ed ecco che, con eleganza, la quarta parete si ricompone, solida.

Sabato 2 marzo, ore 21.00
Teatro del Giglio, Lucca

Il berretto a sonagli
di Luigi Pirandello

Regia di Mauro Bolognini, ripresa da Sebastiano Lo Monaco
Con Sebastiano Lo Monaco e Marina Biondi
E con Clelia Piscitello, Claudio Mazzenga, Franca Maresa, Rosario Petix, Elena Aimone
e Isa Bellini

Sara Casini

Spagna: tra compostezza e frenesia

Il sipario si apre su un palco buio, improvvisamente appare un singolo uomo, racchiuso in un cono di luce.
La sua energia appassiona lo spettatore, che rimane affascinato dai movimenti fluidi e scattanti.
I personaggi volteggiano sul palco e paiono riportare l’attenzione dello spettatore ad un unico tema: un corteggiamento sfrenato e al tempo stesso elegante.
Il ritmo travolgente e passionale pare sprigionarsi dai corpi stessi, che si muovono con compostezza e frenesia, in un alternarsi di tensione e scioltezza, se infatti il busto dei ballerini rimane composto e immobile, le gambe e le braccia si muovono ad una velocità impressionante, così che le nacchere schioccano tra le mani ben allenate e il pavimento risuona sotto le scarpe; la testa pare riunire i due stili per rendere la danza omogenea, infatti se in un istante pare perfettamente immobile e composta, l’istante seguente esegue uno scatto fulmineo, lasciando danzare i capelli (lunghi fino alle spalle quelli di Miguel Angel Berna).
La musica apparentemente caotica prende il possesso del palco anche grazie alla profonda voce di Maria José Hernandez.
Una danza focosa che riporta al calore della Spagna.
Le luci sono semplici ma incredibilmente efficaci, e rappresentano uno dei punti fondamentali dello spettacolo, in quanto risultano vivide e quasi accecanti sui ballerini quando l’eccitazione della danza è al culmine, per seguirne poi le variazioni con la decisione scattante tipica di questo ballo.
I vestiti, al pari delle luci, non sono particolarmente elaborati (neri per gli uomini e dai colori caldi per le donne, che variano dal giallo all’arancione ad un rosso purpureo) ma, in particolare per quanto riguarda le ballerine, riescono ad accentuare l’estrema sensualità della danza, scivolando leggeri sui corpi asciutti ma sinuosi.
Ed ecco che nel bel mezzo dello spettacolo la musica cessa, e lascia Miguel (il ballerino principale) solo sul palco, racchiuso nel cono di luce in cui l’avevamo trovato all’inizio.
A mio parere, questo è il momento più suggestivo dello spettacolo.
Nel silenzio più profondo si possono percepire nitidamente il suo respiro, i suoi passi decisi ed eleganti a scandire il tempo, le nacchere a definire la melodia.
Ed è nel volteggiare di figure tremendamente umane che lo spettacolo si conclude.

Martedì 26 gennaio, ore 21.00
Teatro del Giglio, Lucca

bailando mi tierra… MUDÉJAR
di Miguel Ángel Berna

Produzione del Centro Aragones de Danza
Coreografia e regia di Miguel Ángel Berna
Costumi di Mª Jose Mora
Ballerini:
Miguel Ángel Berna, Manuela Adamo, Yolanda Barrero, Yasmina Pineda, Yasmina Sánchez, Francisco Morgado, Pablo Perez.
Orchestra:
Alberto Artigas, Antonio Bernal, Guillermo Gimeno, Miguel Angel Fraile, Josué Barres, J. Luis Seguer, Maria José Hernandez.

Sara Casini